Lo Studio Michele Magro continua la sua indagine nel mondo dell’imprenditoria del territorio, per farsi raccontare storie e spunti interessanti con cui potersi confrontare e da cui ricavare nuove idee di business. Questa settimana, per il tema start up e innovazione, abbiamo intervistato il notaio ferrarese Samuele Bizzi, che oltre a svolgere la sua attività principale è consigliere dell’Istituto Italiano Imprenditorialità. “Inspiring the next enterpreneurs” è il motto di questa organizzazione bolognese, e infatti l’istituto -privato e senza scopo di lucro- si propone di diffondere in Italia un nuovo modello di industria fondato sull’innovazione e il capitale di rischio, che si ispira alle imprese della Silicon Valley, California.
1. Istituto Italiano Imprenditorialità: leggo dal vostro sito che il progetto “nasce per promuovere lo spirito imprenditoriale e l’innovazione nel contesto locale con iniziative di respiro nazionale ed internazionale, nonché con l’attività di ricerca”. Può dirmi qualcosa di più sulle vostre attività?
Il nostro è un Istituto giovane che, grazie alle collaborazioni a livello universitario con l’Università di Bologna, e al bacino internazionale – la Silicon Valley in America- cerca attraverso incontri destrutturati, quindi in maniera informale, di dare corpo a delle idee imprenditoriali. Si tratta di tre fattori fondamentali: una buona idea imprenditoriale, gli incubatori sociali e gli investitori, i cosiddetti Angels. Organizziamo periodicamente dei Brainstorming Lounge, aperitivi che sono vere e proprie occasioni di interagire e fare networking, dove sono invitati potenziali imprenditori che incontrano soggetti provenienti da imprese di successo –lavoriamo con Google, IBM, Piquadro ad esempio. Ne nasce un dialogo, la possibilità di ricevere consigli preziosi e, perché no, anche nuovi business: si possono incontrare infatti realtà interessate ad investire sulla tua idea.
2. Cosa si intende esattamente per “Silicon Valley Mindset”?
La Silicon Valley rappresenta un sistema di valorizzazione dell’idea del singolo, che può diventare business a certi livelli, che in Italia non esiste. Da noi purtroppo concretizzare in questo momento è difficile; l’istituto italiano imprenditorialità al momento fa in modo che la genesi dell’idea avvenga all’estero, con l’accelerazione che c’è là, per poi eventualmente importare il prodotto in Italia. La cosa che si vorrebbe fare è evitare questa necessaria fase genetica all’estero.
3. Quali risultati ha portato finora il programma BEST?
Abbiamo già avuto diverse persone che hanno vinto le borse di studio e sono attualmente in Silicon Valley. Ricordo il caso di Alessio Pisa, che fu all’epoca un pioniere del settore: la sua idea innovativa è stata il portare all’interno della propria abitazione chef e ospiti, 4 o 5 persone a cena con menu particolari, tutto attraverso bonifici bancari: metà transazione al fissaggio dell’appuntamento, chiusura alla fine della cena. Lo chef spiegava alle persone cosa stava cucinando e come; una vera e propria esperienza di consumo che ha avuto un grande successo, anche come idea regalo. Nel giro di qualche mese il business è cresciuto tantissimo e un Angel ha poi investito sulla società.
4. Parliamo di start up in Italia: tante opportunità in teoria, le idee non mancano; in pratica, molte difficoltà, soprattutto nell’accedere ai fondi. Qual è la sua opinione in merito?
Il problema vero è proprio il ricorso al credito: in America è diverso. In Italia siamo ancora legati all’idea che il credito venga concesso dietro garanzie, ma non garanzie personali: garanzie reali. Le banche vogliono immobili da ipotecare, fideiussori, terzi datori di ipoteca…questo è un grosso intoppo per chi deve partire, per usare un eufemismo. Se solo il vestito start up disegnasse diversamente la necessità di capitale iniziale…difficilmente una persona con un’idea brillante può dotare una società di un capitale così grande, almeno all’inizio. Di solito si parte con il proprio capitale personale, da un’idea che poi andrà sviluppata; ecco perché gli Angels sono importantissimi: foraggiano dall’esterno la società. Qui non è così semplice purtroppo, ancora adesso.
La soluzione sarebbe attirare capitali dall’estero, investitori esteri, che siano figli di quel meccanismo di fiducia nei confronti dell’idea. Bandi con borse di studio che diano la possibilità a vincitori di soggiornare per mesi negli incubatori sociali – in Italia ce ne sono pochissimi, stanno nascendo – dove visionare la genesi dell’idea e darsi delle tempistiche strette. Se non si riesce a convertire in € in breve tempo, bisogna restituire quello che si è ricevuto. Un sistema spietato, è vero, che in America porta però più successi che insuccessi, perché ci sono persone preparate a capire e sanno prevedere se un’idea avrà un business oppure no. In Italia non è il problema della semplificazione della società, anzi: oggi si tende a sfuggire al controllo notarile, si è passato da un’eccessiva burocratizzazione ad un lassismo ingiustificato. In Italia oggi una società si può autocostituire, si possono fare società con defunti, malviventi, si può fare riciclaggio… Questo genera ancora più diffidenza da parte delle banche. Un circolo vizioso. Un sistema francamente assurdo, dato che il controllo notarile per alcuni tipi di società è totalmente a titolo gratuito!
5. Secondo lei, qual è –o quali sono- le tematiche chiave cui le aziende dovranno prestare maggiore attenzione in futuro?
Dal nostro punto di vista, se dovessimo dare un consiglio a chi voglia fare oggi imprenditoria in Italia, penserei al terzo settore, i servizi. Offrire servizi paralleli a quelli pubblici: porto l’esempio di alcune associazioni -followers e finanziatori dell’istituto italiano imprenditorialità- che hanno ricevuto da noi direttive di base e hanno scelto di creare asili paralleli. Organizzazioni non riconosciute, di ispirazione tedesca o americana, che con l’ausilio di madri preparate tramite corsi specifici danno un servizio alla famiglia che non può essere asservita agli orari degli asili pubblici per le più svariate ragioni.
In pratica, si va ad agire dove c’è una carenza nel pubblico. Esistono dei team composti, ad esempio, da infermiere, maestri, dogsitter, babysitter ecc che si mettono a disposizione di condomini per dare un servizio sociale a tutto tondo. Mi limito a riportare le opinioni di persone preparate, degli Angels che abbiamo ascoltato in questi ultimi mesi, per cui credetemi: si sta puntando su questo. Queste sono le cose che più interessano investitori italiani e stranieri, soprattutto nei grandi centri urbani.
Intervista a cura di Arianna Rossi, ufficio Marketing & Comunicazione Studio Michele Magro